I mottetti oggetto di questo lavoro discografico sono caratterizzati da un atteggiamento compositivo assolutamente scevro di sperimentalismi e risultano di stile assai tradizionale: questi, fondamentalmente, i motivi che hanno spinto a valutazioni critiche spesso severe. Raramente ci si è soffermati a valutare quanto, invece, questi brani siano ricchi complessi e, in conclusione, artisticamente ineccepibili, proprio se considerati in rapporto alla produzione mottettistica corrente, invece che alla produzione madrigalistica dello stesso autore o alle composizioni sacre di fattura volutamente antitradizionalista. Soltanto in questo modo si coglie, infatti, come il compositore, pur nell’ambito dei limiti che si è forzatamente imposto, riesca a creare delle strutture che si impongono per la loro assoluta eleganza formale e per l’impiego di artifici contrappuntistici di elevata maestria. L’ adesione della musica al significato profondo del testo è sempre presente, ma non è mai in rilievo evidente e non incrina la fluidità del procedere melodico. La scelta effettuata di presentare alcuni di questo mottetti in esecuzione vocale/strumentale e in esecuzione esclusivamente strumentale arricchita di diminuzioni, è propria di una prassi esecutiva costantemente documentata e abituale all’epoca. L’utilizzo di un consort strumentale costituito da violino, viole da braccio, violoncino, violoncello e violone, vuole essere un contributo alla riscoperta di quel ruolo eminente svolto da Brescia tra ‘500 e ‘600 nell’ ambito della musica strumentale, testimoniato da un articolo di Rodolfo Baroncini dal titolo Origini del violino e prassi strumentale in Padania: “sonadori di violini” bresciani attivi a Venezia in ambito devozionale. Il saggio dimostra senza ombra di dubbio, come in quell’ambito geografico, a partire dalla metà del ‘500 sia documentata la presenza di insiemi strumentali ad arco usi a “isminuir mottetti” nel contesto delle celebrazioni liturgiche.