Fra il 1739 e il 1740 viaggia in Italia il Presidente del Parlamento di Borgogna, Charles de Brosses. Le sue “lettres familières” divengono presto uno tra i must della letteratura di viaggio, e sono assai amate da chi s’intriga nelle cose di musica. Perché, di musica, il Presidente de Brosses scrive tanto, come un fiume in piena: a quel tempo i nostri teatri e le nostre accademie sono, del resto, scrigni di cultura e di sentimenti. Il Presidente incontra Vivaldi nella coda terminale del tramonto: il Prete rosso sarebbe morto di lì a poco, e a de Brosses quest’uomo, la cui musica dominava l’Europa intera, appare come “un vecchio, qui a une furie de composition prodigieuse”. Quella proverbiale furia nel comporre – quasi mezzo migliaio solo i suoi concerti – aveva trovato nel fagotto lo strumento fra tutti da lui più frequentato, dopo il violino. Assomma a una quarantina, il numero dei concerti solistici per fagotto lasciati da Vivaldi, e la serie fa specie: non solo per l’entità, ma perché il fagotto viene di fatto rilanciato proprio da questa passione vivaldiana, in quanto per un paio di generazioni, dal tardo Seicento, lo si era visto pressoché scomparire.